domenica 8 marzo 2015

La dolcezza delle mani della specializzanda


Il mercoledì è la mia isola felice. Da quando frequento il centro, è il mio giorno di pausa. Vedo gente diversa e vivo un ambiente nuovo, che ormai è diventato quasi familiare. In più adesso frequento il reparto (sporadicamente e come mera osservatrice), però imparo comunque tante cose.
In ambulatorio oggi è venuta una specializzanda, una ragazza che frequenta il terzo anno di specialistica nel reparto in cui lavora il professore che seguo. Qualche giorno fa ci siamo presentate e mi ha dato subito l'impressione di una donna con le palle.
Ne sono rimasta incantata, attratta direi, come se il suo parlare lentamente e con fermezza, fosse un modo di essere che volevo acquisire. Perché trasmetteva calma e gentilezza, oltre che professionalità.
Come pura osservatrice, spesso mi limito a guardare quello che mi succede attorno e oggi sono stata distratta dalle sue mani. Piccole e affusolate, si muovevano velocemente sui fogli della cartella, scrivendo l'esame obbiettivo di un paziente appena visitato.
Mi sono sembrate dolci e allo stesso tempo severe, coscienti del peso che avevano le parole che stava segnando sulla carta…
Il centro prima e l'ambulatorio poi, mi hanno fatto vedere spesso questo genere di "mani". Nella fattispecie poi non erano più mani, ma occhi, bocche o, più genericamente, visi. Dolci e coscienti del peso.
Visi come quello del signor Moses, un quarantenne del Togo.
Qualche ora dopo le mani della specializzanda, questo signore si è presentato con un foglio, nel quale si descriveva la sua patologia: “tubercolosi miliare con spondilite cervicale” e zoppicava, appoggiandosi ad una stampella. Dopo una breve chiacchierata, il professore lo ha indirizzato a fare un ecg e io, curiosa di sapere dove e perché si dispongono gli elettrodi, ho voluto accompagnarlo.
I primi 4 elettrodi si dispongono su polsi e caviglie e, le sue, erano coperte da calze alte e pantaloni di pigiama; istintivamente l’ho aiutato a scostarli, dato che non poteva muoversi agilmente, e mi ha guardata con estrema dolcezza, sorridendomi come se gli stessi facendo un favore impagabile. Finito l’ecg, è stato approfonditamente visitato dal professore e mandato in sala d’attesa (aspettava un operatore che lo avrebbe riaccompagnato a “casa”).
Qualche minuto dopo che si era allontanato, l’infermiera mi ha fatto notare che, nel compilare la sua cartella, avevo dimenticato di porgli delle domande, allora l’ho raggiunto e gli ho chiesto che tipo di scuola avesse fatto e se era sposato.
Pacatamente e con la dolcezza che, credo di poterlo dire con certezza, sono chi ha affrontato davvero tanti guai può elargire, mi ha risposto che ha studiato 15 anni e che era un esperto di computer. Era sposato, si, ma la sua famiglia era in Togo, compreso il suo bambino. Ci siamo salutati e io sono tornata in ambulatorio, chiedendomi come dovesse sentirsi, lontano da casa e senza i suoi, solo e neppure tanto in salute.
Lo stesso sorriso rivoltomi dal signor Moses, oggi l’ho ricevuto da una donna africana che probabilmente ha un bel problema al fegato; da una nuova operatrice del centro, che gentilmente, pur non conoscendomi, mi ha offerto un caffè e mi ha raccontato un bel po’ di cose su di lei, dalla mediatrice culturale che mi ha invitata alla sua laurea e da Giulia, felice di potere, finalmente, consegnare la sua tesi.

Il mercoledì è il mio giorno felice, vorrei ce ne fossero 7 alla settimana, ma probabilmente non lo assaporerei come faccio
(mercoledì 25 febbraio)